Testo di Matteo Foracchia.
Musiche di Hernan Diego Loza.
Riarrangiamenti a cura dei DeSamistade.
Scrivere in fondo è viaggiare senza la seccatura di fare i bagagli.
Carte sparse sopra scrivanie a veleggiare su oceani di ebano.
Poi eterni toscanelli come muri di fumo per chiudermi dentro.
Vestito di Inchiostro.
Il mio inchiostro.
Perché questa mia penna è una lama in omaggio
per cascate di sangue da lavare ogni oltraggio,
Fatevi avanti, stampatori corrotti,
stolte masse vendute al mercato, agli introiti.
Capitan Salgari ora regna sovrano,
nel suo studio di legno, il suo catamarano.
Quattro chiacchiere con un corsaro bagnate d’Asti e gianduia,
solo per capire se davvero insegnare la galante- ria piratesca,
a questa Sabaudia da belle epoque francese, senza pretese.
Messa a fuoco da Sandokan.
Il mio Sandokan.
Perché questi miei fogli sono Giungle profonde,
consonanti scorpioni e vocali anaconde.
Fatevi sotto, editori d’osceno,
diluite il mio inchiostro con il vostro veleno.
Messere Salgari ora è il vostro sultano,
sul suo scranno di cedro, il mio totem indiano.
Un ingenuo ragazzino di nome Ernesto Guevara,
lesse tutti i miei romanzi in un caldo futuro argentino.
La fantasia cura l’asma al rivoluzionario.
E lo veste in eterno. Di coraggio ed inferno.
Perché il mio calamaio è una bocca fumante,
un cannone da guerra che bombarda all’istante.
Lettori distratti, su, buttatevi a mare,
siete sudici mozzi da marina imperiale.
Emiliy Salgari ora è il nuovo sciamano,
nel suo studio a Torino, un villaggio africano.
Perché ingegno e avventura sono doni assai rari
di colui che ai salotti preferisce i corsari.
Addio per sempre, giornalisti e scrittori
Carrieristi saggisti, intelletti poltroni.
Capitan Salgari sta affogando in miseria.
Meglio la fantasia alla cattiveria!
Vi saluto spezzando la penna...